Il buio oltre la siepe

“Volevo che tu imparassi una cosa: volevo che tu vedessi che cosa è il vero coraggio, tu che credi che sia rappresentato da un uomo col fucile in mano. Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda.” – Harper Lee, Il buio oltre la siepe.

Il buio oltre la siepe – Foto @the.vintage.district

Sebbene a volte si conosca di fama un romanzo, si rimane completamente stupiti quando lo si legge e lo si scopre completamente diverso da come uno se lo era immaginato. La famosissima storia di Atticus Finch, incaricato d’ufficio della difesa del bracciante Tom Robinson, non potrebbe essere più lontana dal thriller moderno che mi aspettavo. O da un investigativo sullo stile Agatha Christie. La storia del Il buio oltre la siepe inizia in una cittadina del profondo sud, Maycomb, con le avventure di Scout e Jem, i due figli di Atticus. Attraverso gli occhi della più piccola, Scout, ci si dipana la struttura sociale del tempo, le abitudini quotidiane e la mentalità spesso arretrata, perbenista e ipocrita di quegli anni – e mica solo di quelli, in effetti – immergendo il lettore in una realtà pittoresca e suggestiva.

La caratterizzazione dei personaggi è stata assolutamente magnifica: l’irruenza di Scout e Jem rappresenta quanto di meglio c’è nella fanciullezza, nei giochi che si fanno da bambini in cui basta un pezzo di legno e tanta fantasia per crearsi un mondo fantastico intorno ed esplorarlo. É con questi occhi, pronti a vedere l’avventura, che i due bambini ci introducono il personaggio di Arthur “Boo” Radley, segregato in casa fin da adolescente, psicolabile e fonte di eterna curiosità per i figli di Atticus e il loro amico Dill Harris, compagno bizzarro e divertente per il quale l’autrice, Harper Lee, si ispirò all’amico Truman Capote.

La vicenda giudiziaria

Nel leggero susseguirsi delle vicende pian piano si inizia a scoprire l’episodio chiave del libro, il fulcro della narrazione. Jem e Scout iniziano a essere presi di mira dai compagni di scuola, dalla loro stessa famiglia perché, il padre è accusato di essere un “negrofilo”, termine usato tanto dai bambini quanto dagli adulti per indicare la difesa che Atticus sta preparando per Tom Robinson, bracciante nero accusato di violenza e stupro ai danni di una ragazza bianca. Sono in queste righe che emerge la bellezza del romanzo perché viene a galla la meschinità assoluta delle persone del posto, piene di pregiudizi e moralismo becero. La vicenda inizia con il giudice Taylor che, probabilmente consapevole dell’innocenza di Tom, nomina Atticus come avvocato d’ufficio, il migliore che potesse scegliere. Nelle decisioni del giudice c’è già la volontà, almeno, di smuovere gli animi della popolazione benpensante di Maycomb.

Gli Ewel

La motivazione che c’è dietro questa scelta è di carattere squisitamente sociologico: a muovere l’accusa di violenza e stupro è la figlia di Bob Ewel. Gli Ewel sono famosi per essere dei reietti della società, analfabeti, rozzi e ignoranti, condizione che si sussegue di generazione in generazione. E Bob Ewel non fa eccezione: un bruto rancoroso nei confronti della cittadina di Maycomb, incapace di tenersi un lavoro, un alcolizzato violento con una nidiata di figli, uno più maltrattato dell’altro. In queste condizioni, la società sa perfettamente che quello che sostengono Ewel e sua figlia – creatura che mente visibilmente ma a cui va la mia compassione – è sicuramente una menzogna.

Perché il grande dramma di Mayella Ewel è di essere stata tutta la sua vita, sola e priva di amici. Non comprende cosa sia l’amore e la bontà, cosa sia un piccolo gesto d’affetto e quando si trova a contatto con Tom, che su sua richiesta svolgeva dei piccoli lavoretti domestici in casa, inizia a provare un sentimento proibito per lui. Questo è ciò che scandalizzerebbe la società, quello che nessuno vuole sentire ammettere: la rottura di un tacito tabù sociale, una ragazza bianca che ha sentito attrazione per un nero ed ha provato ad adescarlo.

la fine del processo

Nonostante Atticus riesca incontrovertibilmente a dimostrare che Tom Robinson è innocente, la giuria lo condanna. Era un verdetto già annunciato e che tutti si aspettavano, ma quello che commuove è la reazione di Jem, indignata e rabbiosa nel vedere l’ingiustizia perpetrata dagli adulti. E che dimostra come l’innocenza è manifesta e non trattabile agli occhi dei ragazzi, che ancora non si sono lasciati influenzare dai pregiudizi della società.

La fine degli avvenimenti del libro sembra la chiusura adatta: Tom è morto tentando la fuga ma la sua morte non sembra essere bastata ad Ewel. Il rancore che prova per Atticus, che durante il processo lo ha chiaramente reso ridicolo di fronte alla società, privandolo di quello che secondo lui doveva essere il suo momento di gloria, lo porta ad attentare alla vita dei suoi due figli, che si ritrovano aggrediti al buio mentre tornano a casa da una recita scolastica.

Ed è qui che interviene il bizzarro “amico” di Scout e Jem. Il signor Boo Radley, che tanto aveva animato la loro fantasia. Chiuso in casa da anni, aveva costantemente osservato dalla sua abitazione quegli strani bambini crescere e giocare, mentre le stagioni passavano. Aveva lasciato loro piccoli doni nell’incavo di un albero e li aveva osservati e aiutati silenziosamente nel corso degli anni. E dalla sua casa Boo osserva e interviene quando vede Bob Ewel avventarsi su di loro con un coltello. E per una volta Atticus, scosso da quanto accaduto, non capisce che è stato Boo ad accoltellare Bob prima che potesse uccidere Jem e Scout e a riportare a casa un Jem col braccio rotto ed una Scout molto scossa.

Ma fortunatamente, per una volta, l’omertà che ha caratterizzato la vicenda del povero Tom Robinson sembra essere utilizzata a favore almeno di un’altra persona debole: lo sceriffo decide di dichiarare la morte di Bob un incidente. Ubriaco e nel tentativo di uccidere i ragazzi, sarebbe inciampato e caduto sul suo stesso coltello. Tutto per evitare a Boo Radley un processo che avrebbe scosso la sua già labile psiche.

La metafora del titolo

Non posso che dire quanto queste vicende siano state toccanti ed intense, quanto tutto questo romanzo sia un balsamo ed un duro colpo al tempo stesso. Spero che in futuro gli darete una possibilità, le parole che io non so riportare dei personaggi, la loro verve e capacità di esprimere grandezza ed insegnamenti è quanto di più vicino alla realtà abbia letto in questi mesi. Ma ho immensamente apprezzato il titolo italiano, che è una metafora a quanto succede oltre la siepe del giardino di Jem e Scout, là fuori nel mondo. Così come il riferimento al titolo originale, “To Kill a Mockingbird” cioè uccidere un tordo, ovvero un’azione crudele e immotivata riassume perfettamente quanto accaduto nel romanzo.